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Campi aperti per il sociale - La strada fatta e quella da fare. Il workshop di Kairos sull'agricoltura sociale
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Sul lago di Martignano una fantastica esperienza a contatto con la natura e le storie legate all’agricoltura sociale, un’occasione speciale per far nascere nuovi progetti e confrontarci

 

Lo scenario, il meteo, l’interesse dei partecipanti, la disponibilità che abbiamo trovato nel Casale di Martignano. Tutto ha contribuito a rendere speciale ieri, 31 maggio, la giornata dedicata al workshop “Campi aperti per il sociale – La strada fatta e quella da fare”, che aveva come tema le opportunità offerte dall’agricoltura sociale nella prevenzione del disagio giovanile.

 

La giornata si è aperta con il benvenuto e gli interventi di Martino Rebonato, Andrea De Dominicis e Tiziana Piacentini, i quali hanno riportato l’esperienza e le aspirazioni che la Cooperativa sociale Kairos e l’Associazione Oasi hanno maturato con il proprio impegno nell’ambito dei progetti di agricoltura sociale.

 

Gli interventi introduttivi

Il punto focale di questa parte iniziale del workshop è stato l’approfondimento sulla Legge 141/2015, la nuova legge sull’agricoltura sociale, e sul Programma di Sviluppo Rurale 2014-2020 della Regione Lazio. Al tavolo dei relatori era presente proprio l’On. Massimo Fiorio, vicepresidente della Commissione Agricoltura alla Camera dei Deputati, il promotore della legge sull’agricoltura sociale. Ad illustrare il contenuto delle nuove disposizione approvate dal Parlamento è stato Marco Berardo Di Stefano, presidente della Rete delle Fattorie sociali. Roberto Finuola ha curato, invece, l’intervento sul PSR della Regione.

 

Alla scoperta dell’azienda

La “passeggiata dinaminca”, condotta da Andrea Zampetti di Kairos, ha dato modo di raccontare il lavoro della Cooperativa nei progetti di agricoltura sociale, di trasmettere il senso e i punti di forza dell’impegno delle imprese sociali che hanno puntato su questo settore. Una passeggiata che ha coinvolto i partecipanti, costeggiando i campi e l’allevamento dei maiali, e che è stata impreziosita dalle “voci dai campi”. Tra queste anche quella di Cheikh Diop, della cooperativa Barikamà, che ha offerto la sua visione sull’integrazione raccontando la sua storia, partita dalle rivolte dei raccoglitori di arance di Rosarno. Il punto di arrivo del giro all’interno del Casale di Martignano sono state le sponde dell’omonimo lago. Seduti in cerchio, ci si è confrontati raccontando le proprie esperienze e si sono poste le basi per la fase successiva del workshop, prevista dopo il buffet preparato dell’azienda agricola.

 

Focus Group

Nel pomeriggio l’attività che caratterizza il workshop, i focus group. In aree diverse si riuniscono tre differenti gruppi: chi parlerà della “Strada fatta”, cioè il gruppo dei rappresentanti del terzo settore e quello dei ragazzi che hanno beneficiato dei progetti di agricoltura sociale, e chi getterà le basi per la “Strada da fare”, il nutrito focus group dedicato alla progettazione di nuove idee e suddiviso in 5 tavoli di lavoro che hanno proposto 5 diversi progetti nati sul momento.

 

Focus Group con i beneficiari

focus group dei beneficiari
Il focus group con i beneficiari dei progetti di agricoltura sociale di Kairos

Pubblichiamo di seguito quanto è emerso da uno dei due focus group, quello che ha visto le impressioni dei giovani beneficiari dei nostri progetti.

CONDUTTRICE: Tiziana Piacentini

CO-CONDUTTRICE:: Patrizia Piscitelli

PARTECIPANTI: 5 giovani che hanno beneficiato dei nostri progetti, dei quali riportiamo solo l’iniziale del nome per tutelarne la privacy. Tre ragazze, B., A. e V., e due ragazzi, S. e J.

 

Descrizione generale dell’esperienza. Chi vi ha proposto la partecipazione a Campi Aperti? Vi ricordate cosa avete pensato in quel momento?

A. – All’inizio ero preoccupata. Avevo già lasciato la scuola di grafica pubblicitaria. Lasciavo tutto quello che cominciavo. Frequentavo il centro d’aggregazione giovanile Nel Formicaio, a Santa Palomba, e fu lì che mi proposero questa esperienza. Ero perplessa, l’agricoltura era un mondo che non conoscevo. Ho cominciato ad andare a La Nuova Arca. Non so cosa mi abbia fatto continuare. Poi ho vinto una borsa lavoro e ora mi occupo del confezionamento. Ho cominciato anche a fare volontariato in uno SPRAR. Mi piace il mondo del sociale, dare una seconda opportunità a persone in difficoltà.

V. – Me ne ha parlato Katia del CAG Nel Formicaio. All’inizio ho pensato che non fosse una cosa adatta a me, ho quasi una fobia per gli insetti. Ma è stato bello, divertente. Siamo in tanti e tutti amici.

J. – Frequentavo il Borgo ragazzi Don Bosco, con la “messa alla prova”. Frequentavo il corso di giardiniere e orticoltore. Facevo volontariato in una casa famiglia. A La nuova Arca ci sono entrato con un tirocinio e ora sto continuando la mia esperienza lì grazie a Garanzia Giovani. Adesso è come se ci fosse qualcosa in me: l’agricoltura mi ha appassionato tanto.

S. – Vengo dalla Città dei Ragazzi. È la mia prima esperienza in agricoltura. Mi piace.

Rotto il ghiaccio presentando le proprie impressioni, nasce uno scambio tra i ragazzi:

A. – Quando lavori nella terra ti fa bene psicologicamente oltre che fisicamente

J. – Vedi crescere una pianta. Sono soddisfazioni

B. – Io adesso sono nel confezionamento. Vendo ciò che arriva dal campo. Faccio le cassette.

A. – Sì, prepariamo le cassette per il GAS, il Gruppo di acquisto solidale.

B. – La prima volta ho pensato che l’agricoltura sociale fosse una cosa faticosa. Adesso mi sto ambientando. Mi piace.

 

Avevate mai sentito parlare di Agricoltura sociale prima?

Tutti – No.

A. – Forse una volta, in TV. Ma si trattava di una cosa piccola, un pezzo piccolo di terra. Mica come noi!

 

Adesso cosa pensate dell’Agricoltura Sociale?

A. – Io penso che l’agricoltura sociale rappresenti il rapporto tra la persona e la terra. È una terapia. Mi piace sporcarmi le mani con la terra. Mi piace quando raccogliamo, come anche la cura dell’orto. Grazie agli operatori che ci hanno insegnato tanto, passo dopo passo. Senza la loro guida non so come sarebbe andata

S. – Prima, in Africa, lavoravo con gli animali. Mai con l’agricoltura.

 

Con chi siete entrati in contatto durante questa esperienza?

A. – Erano tanti e sempre accanto a noi. [Il gruppo di ragazzi ricorda gli operatori con cui sono entrati in contatto, arrivando a contarne 13 (n.d.r.)]

J. – Io prima ero chiuso, adesso riesco a parlare con tutti.

A. – Anche io. È una specie di Terapia che ti fa crescere. Adesso sto raddrizzando la mia strada, ho scoperto tante cose che ti fanno diventare migliore

 

Come è stato avere a che fare con più operatori? È stato complicato?

Tutti – No.

A. – Ognuno ci ha insegnato una cosa diversa da mettere in valigia. Ci hanno insegnato a crescere.

 

C’è qualcosa che possiamo modificare per migliorare?

Tutti – No. Va tutto bene così.

V. – Voglio bene agli altri. Ma la mia fobia per gli insetti non passerà mai.

A. – C’è accoglienza, siamo quasi una famiglia. Se qualcuno ha un problema lo affrontiamo insieme.

 

Avete notato differenze tra l’esperienza che avete fatto attraverso Campi Aperti ed altre esperienze effettuate in altri servizi?

A. – No. Per me è la prima esperienza, il primo percorso. È stato importante per i miei genitori vedermi svegliare presto tutte le mattine, avere la costanza.

J. – Io lavoravo dentro un vivaio e sono scappato dopo un mese. Non avevo neanche un minuto di pausa. Adesso abbiamo la pausa, possiamo farci una chiacchierata.

A. – Io sto a Santa Palomba, una periferia abbandonata, dove il CAG è l’unico punto di ritrovo. Per me è stato importante uscire da questo ambiente troppo chiuso, vedere altro.

 

Cosa avete imparato?

A. – La solidarietà. Aiutare l’altro se lo vedo in difficoltà. Ci hanno insegnato il lavoro agricolo, il confezionamento. Adesso mi ritengo molto organizzata.

J. – Ho imparato ad aprirmi con la gente, a comunicare, parlare. Stare a contatto con la gente, lavorare. Prima iniziavo un lavoro e non lo terminavo. Adesso ci riesco.

A. – È vero, la comunicazione. Grazie ai tutor!

S. – Ho trovato tanti amici. Ho imparato l’italiano, ho imparato a tirare le manichette, a zappare.

A. – Chi non ci lavora non lo sa. Ma anche per zappare c’è un metodo.

V. – Ho imparato ad aprirmi con persone che non conoscevo. Ho imparato cose che non sapevo fare, come piantare o raccogliere.

B. – Ho imparato a confezionare, a zappare, a far crescere le piante, a seminare, a fare le fragole…

 

Cosa vorresti fare con le cose che hai imparato?

B. – Vorrei continuare questo percorso e fare altre cose.

S. – In passato ho fatto il corso di panificazione e pizza. Adesso mi piacerebbe cucinare, nel campo della ristorazione.

V. – Quando finisco il progetto e la scuola voglio andare a Viterbo, nella fattoria di nonna, per lavorare nell’orto e con gli animali. Faccio anche servizio con la protezione civile. Mi piacerebbe fare anche il corso di formazione per estetista.

J. – Il progetto mi ha insegnato a crescere. Prima ero un disastro in tutto. Mi facevo trasportare dagli amici, adesso mi sento me stesso.

A. – Io già sapevo quanto mi piace la natura ma non sapevo del sociale. Mi piacerebbe lavorare nel sociale e nell’agricoltura. Ad esempio, fare agricoltura sociale con i disabili. Forse fare l’educatrice, prendere la patente, iscrivermi ad una scuola serale. Adesso mi sento abbastanza forte per fare tutto. Aiutare gli altri mi fa stare bene.

 

Cosa è cambiato?

S. – Prima mi vergognavo di parlare, adesso chiacchiero con tutti. Sono cambiato, mi sento più sicuro.

B. – È cambiato tanto: il carattere, il modo di stare con gli altri. Prima era più difficile stare con le persone.

J. – Tutto. Prima non potevo vedere i ragazzi di colore. Adesso non posso vedere quelli che li prendono in giro. Ho scoperto che sono come me. Ho imparato tante cose.

A. – Chi parla male dei ragazzi di colore oggi mi sembra un ignorante. Io preferisco stare con loro. Allo SPRAR ho ascoltato un sacco di storie forti. Prima io vedevo un solo tipo di persone e mi ispiravo a loro. Adesso ho altri esempi, ho conosciuto stili di vita più giusti. È cambiata la mia mentalità. Adesso so riconoscere cosa è giusto e cose è sbagliato. Prima ero ignorante. Ignoravo perché per me il mondo era quello di Santa Palomba e basta.

 

Se il percorso fosse stato un altro (non in agricoltura sociale), sarebbe stato lo stesso per voi?

B. – No. Non sarebbe stato lo stesso. Dobbiamo imparare ad ambientarci in tutto. Educare e rispettare gli altri.

V. – Secondo me sarebbe stato uguale. La gente sarebbe stata la stessa, ci avrebbero scelto lo stesso.

A. – Non avremmo fatto le scoperte che abbiamo fatto. La scoperta del rapporto con la natura.

J. – Il contatto con la natura è la discriminante.

 

Durante il percorso  quali sono stati i momenti veramente importanti?

B. – Raccogliere le fragole, l’insalata, i broccoli. Mi piaceva seminare e guardare, poi, la pianta che era cresciuta. Raccogliere il frutto del lavoro.

V. – Nel mio caso, il primo giorno. Ci siamo conosciuti e da lì è iniziato tutto.

S. – Per me è stato un cambiamento poter sentire la mia famiglia. Prima non avevo un telefono per sentirli. Il momento importante è stato quando ho avuto i soldi per comprare un telefono.

J. – Quando Abubakar mi ha insegnato come si pianta e come si raccoglie. Prima ero grasso e sfaticato, adesso sono un’altra persona. È stato come incontrare un maestro.

A. – Quando ho vinto la borsa e mi svegliavo la mattina. È stato un cambiamento radicale. Poi quando me lo hanno rinnovato. Mi ero agitata perché non sapevo se me lo avrebbero rinnovato. Ho avuto paura, ho pensato: “E se sto senza fare niente e ricado giù?” Avevo paura di tornare come prima. Ho deciso che avrei fatto volontariato e che anche se non mi rinnovavano avevo un motivo, un obiettivo per cui svegliarmi la mattina.

 

E ci sono stati momenti difficili?

B. – L’orto, la fila, la fatica.

S. – Adesso, il caldo.

J. – Raccogliere i pomodori piccoli, sembrava un lavoro infinito.

A. – All’inizio. Sono andata in tilt.

V. – L’orto d’inverno è pieno di mosche. Il freddo.

 

Cosa cambieresti?

B. – Niente. È perfetto così.

J. – Avere la terra più vicina. Farei meno fatica!

V. – Niente. È bello così com’è. Non volevo più stare all’orto e sono stata messa al confezionamento.

A. – Ho paura del dopo. Mi piacerebbe restituire quello che ho ricevuto: aprire una casa famiglia, uno SPRAR

 

Focus Group con servizi e operatori del Terzo Settore

Focus group dei referenti di servizi e partner per l'agricoltura sociale
Il focus group con i partner dei progetti di agricoltura sociale di Kairos

Pubblichiamo di seguito quanto è emerso da uno dei focus group, che ha visto riunirsi i referenti dei servizi e dei partner che collaborano ai nostri progetti.


CONDUTTORE: Andrea De Dominicis

CO-CONDUTTRICE: Francesca Prete

PARTECIPANTI:

  1. Bonanata Massimiliano, Borgo Ragazzi don Bosco Centro diurno – Corso Giardinieri
  2. Cammarata Cristina, Associazione Ponte d’Incontro – operatrice e psicologa
  3. D’Annibale Luana, Municipio Roma V – Servizio Sociale
  4. De Leo Luana, Municipio Roma IX – Servizio Sociale
  5. D. F., Cooperativa Arca di Noè
  6. Fellet Raffaele, Azienda agricola La Nuova Arca
  7. Selleri Emanuele, Casa Scalabrini 634
  8. Tilli Cristina, Università Roma Tre
  9. Aurelio Ferrazza, Azienda agricola Casale di Martignano

 

GIRO DI CONSIDERAZIONI GENERALI

R. FELLET – “Chi beneficia di cosa? Il confine tra beneficiario e operatore è molto labile. Occorrerebbe ripensare il significato della “formazione” alla luce del lavoro fatto, dall’esperienza di chi sta ogni giorno a contatto con i ragazzi.

L. DE LEO – Oltre al lavoro fatto con i beneficiari, quello che riporto e che più mi ha impressionato in positivo è il “lavoro di rete”. Faticoso da un lato, perché si scontrava con le rigide logiche amministrative del servizio, positivo dall’altro, perché mi ha mostrato un altro modo di lavorare. In gruppo e non più da soli. Mi ha permesso di uscire da rigidi schemi del servizio, di mettere da parte le logiche amministrative. Lo sforzo maggiore è stato far capire all’amministrazione che per noi, per il Municipio, è un risparmio. Al di là dei numeri riportati.

F. D. – Enorme sforzo organizzativo per la cooperativa e disponibilità del municipio sono due fattori che mi preme segnalare. I benefici dell’intervento? Innanzitutto, migliora la qualità del lavoro dell’operatore, che si sente più soddisfatto e stimolato. Soprattutto perché esce dai soliti schemi della L. 191. Per quel che riguarda i coordinatori, il loro sforzo è ripagato dalla soddisfazione degli operatori. E poi il senso del gruppo invita a essere più propositivi e spostarsi, uscire dal quartiere, emoziona e stimola i ragazzi. Di solito non escono mai.

C. CAMMARATA – È stato un progetto del “FARE”. Lavorare, “coltivare” con i ragazzi ti aiuta ad avvicinarti a loro.

M. BONANATA – Lavorare in azienda e fare pratica ha l’obiettivo di rispondere ad alcune semplici domande: “Il ragazzo ce la può fare? Ne avrà voglia? Sarà costante?” Queste esperienze sono utili per capire che non è tutto rose e fiori e che la “sperimentazione” varia in base al contesto, che sia quello del Casale di Martignano, dell’azienda agricola D’Alesio a Tor Tre Teste o de La Nuova Arca o altri ancora.

E. SELLERI – Per noi di Casa Scalabrini, i tempi sono accelerati e l’esperienza ha come obiettivo primario quella di trovare lavoro. A tal proposito i nostri sforzi si concentrano molto sulla creazione di sinergie e di una rete. È molto faticoso far arrivare ai rifugiati, i nostri beneficiari esclusivi, il messaggio che l’agricoltura non è solo schiavitù, che possa essere per loro anche una grande opportunità di rivincita sociale e lavorativa. Molti di loro sono stati vittime di caporalati vari, molti vengono da Rosarno.

L. D’ANNIBALE – La ricchezza dell’agricoltura sociale risiede nella possibilità di individuare, in una cornice “macro”, il “micro” delle singole esigenze e del livello di necessità di ciascuno. Stimola la sensibilità e la creatività in termini di elaborazione di proposte, grazie all’esigenza di uscire dagli schemi organizzativi e amministrativi tipici del servizio sociale. Spesso, però, ci si scontra con il timore della nostra classe dirigenziale. Il più delle volte subiamo il “pressing” dei numeri e dei risultati, mentre sarebbe il caso di focalizzarsi di più sulla qualità del servizio che sulla quantità dei casi trattati.

Ci auguriamo che l’esperienza raccolta sia sempre più varia e ricca e che ci permetta di poter “raccontarsi” di più anche all’esterno.

 

RACCONTATECI IL RICORDO DEL PRIMO MOMENTO IN CUI SIETE STATI COINVOLTI NELL’ESPERIENZA DELL’AGRICOLTURA SOCIALE, LA PRIMA IMPRESSIONE CHE AVETE AVUTO

L. DE LEO – “Questi so pazzi…”. Pensando ai miei ragazzi non mi sembrava possibile, né praticabile. Ma subito dopo ho detto: “OK, proviamoci!!!”.

E. SELLERI – Un’immagine forte…

F. D. – “Sorpresa”. Ed entusiasmo iniziale alla vista dei maiali del Casale di Martignano.

M. BONANATA – Sono stato coinvolto per scherzo, tutto è partito da una proposta spontanea e giocosa. Durante una riunione, nel 2012, dissi: “se volete domani vengo con dei ragazzi”. E li portai qui, al Casale di Martignano.

C. CAMMARATA – Stimolata da Luana De Leo, con La Nuova Arca partecipai a una prima giornata esplorativa, un workshop. La prima impressione fu: “..e che dovrei fare io qua?”

L. D’ANNIBALE – La mia prima esperienza diretta fu a Martignano e il fascino del posto mi fece subito pensare: “magari avessi avuto io questa possibilità da adolescente”.

R. FELLET – Un giorno ci venne detto: “arriveranno dei ragazzi”. E così fu, senza avere il tempo di capire quello che si andava a fare. Poi ti rendi conto che l’orto ci mette tutti sullo stesso piano. Operatori o ragazzi, si è stanchi allo stesso modo. I momenti di pausa sono quelli in cui ci si ferma a riflettere e ci si rende conto di quello che si sta facendo. Si cominciano a fare riunioni e ci si chiede: “ma possiamo farlo?”

 

RACCONTATECI UN MOMENTO PARTICOLARMENTE SIGNIFICATIVOPER VOI, LO SWITCH, LA VOSTRA PERSONALE PRESA DI CONSAPEVOLEZZA

R. FELLET – Non saprei, sono stati tanti e diversi per me gli switch. Mi verrebbe da dire il momento in cui ho realizzato che stavamo dando ai ragazzi una maggiore responsabilità.

E. SELLERI – Il momento del problem solving, quando si è alla presenza di educatori professionisti, o quando ci scopriamo la messa in pratica del valore del “fare rete”.

L. DE LEO – I percorsi dei ragazzi. Quando uno di loro torna in azienda, incuriosito e partecipativo, e chiede all’operatore: “che fai? Perché lo fai così?

L. D’ANNIBALE – …oppure ti chiede: “quando veniamo la prossima volta?”

 

PROVATE A IDENTIFICARE IN POCHE PAROLE I PRINCIPALI RISULTATI OTTENUTI SUI BENEFICIARI

L. DE LEO – Autonomia, prevenzione del disagio, orientamento, relazione, autostima. Ho sentito dire: “Io qui finalmente non mi annoio”. I ragazzi, che hanno tra i 16 e i 18 anni, sono stati puntuali, rispettosi dei tempi, più responsabili. Questo ha aumentato anche la loro autostima.

M. BONANATA – Formazione e orientamento al lavoro.

E. SELLERI – Lavoro. Penso ad alcuni di loro, che probabilmente saranno assunti.

L. D’ANNIBALE – Crescita relazionale e affettiva. I ragazzi si sono misurati con i loro limiti. Da sottolineare anche le perplessità dei genitori stessi.

C. CAMMARATA – I ragazzi si sono sentiti sostenuti e incoraggiati.

 

IDENTIFICATE UN TRATTO DISTINTIVO DEL PROGETTO “CAMPI APERTI” RISPETTO AD ALTRI SERVIZI

Da un brainstorming sono emersi alcuni concetti che hanno trovato tutti d’accordo: flessibilità, creatività, rapporto 1 a 1, personalizzazione dell’intervento, imprevedibilità, relazionabilità, centralità della persona.

 

CONOSCENZA: DAL PUNTO DI VISTA DELL’ORGANIZZAZIONE/PARTNER, IL PROGETTO E’ RIUSCITO A FAR DIFFONDERE L’IDEA DELL’AGRICOLTURA SOCIALE?

M. BONANATA – Più che l’idea di agricoltura sociale, ciò che rimane e spero si sostenga e si sviluppi anche dopo la fine del progetto, sono le sinergie, la costruzione delle reti. Rimarranno anche quando terminerà il progetto.

L. D’ANNIBALE – Oggi c’è sicuramente una maggiore conoscenza sul tema dell’agricoltura sociale da parte di operatori, servizi, Terzo Settore ed altri soggetti. Ci avviciniamo alla realizzazione dei Piani di Zona. La speranza è di avviare una riprogrammazione con maggiore consapevolezza e attenzione sul tema.

L. DE LEO – Nel corso di un focus group tenutosi nell’ambito del progetto europeo INSPIRE, a nome del Municipio Roma IX abbiamo portato l’esperienza di Campi Aperti. Ed è notizia di pochi giorni fa che siamo stati selezionati. Il concetto, l’idea, il tema, sembra arrivare e far breccia più fuori, all’esterno, che dentro il servizio sociale.

 

CAMPI APERTI PUO’ DIVENTARE UN MARCHIO?

E. SELLERI – Si, è aumentato il numero di interessati e tra i rifugiati il passaparola corre veloce.

Tutti i partecipanti convengono. Sì, Campi Aperti può diventare un marchio riconoscibile, con una sua specificità.

 

CRITICITA’ E MARGINE DI MIGLIORAMENTO

L. D’ANNIBALE – La flessibilità dell’intervento non deve diventare improvvisazione, serve uno sforzo per calibrare questo e l’altro estremo, la rigidità.

E. SELLERI – Servirebbero nuovi interlocutori a fronte di nuove e numerose richieste.

M. BONANATA – Ci vorrebbe uno sforzo per riuscire ad organizzare per tempo una calendarizzazione del lavoro e dei tempi, una maggiore programmazione. A volte si improvvisa troppo e la creatività rischia di dissolversi nel bisogno di improvvisazione.

R. FELLET – Come si fa a far coincidere le esigenze di educazione dei ragazzi con le esigenze di produzione delle aziende? Ci vorrebbe un maggior coinvolgimento e presenza di professionisti che rivestendo un doppio ruolo, riesca a coordinare le due esigenze. Inoltre, ci sono carenze nel trasferimento delle informazioni.

L. DE LEO – In molti casi il progetto Campi Aperti non ha coinciso con i periodi di apertura e funzionamento dei CAG, quindi, spesso ai beneficiari e agli operatori sono mancate le figure e i professionisti di riferimento.

A. FERRAZZA – Le prime esperienze sono state diversificate. Hanno riguardato l’orto, il caseificio, il confezionamento, il ruolo di bagnino… Dal mio punto di vista era positivo. Concordo sul fatto che i tempi di lavorazione, a volte, non coincidono con i tempi dei ragazzi.

 

Conclusioni del workshop “La strada fatta e quella da fare”

Il workshop è terminato con una plenaria nella quale tutte le idee e le considerazioni nate dai focus group hanno trovato il momento del confronto e della sintesi. Ogni tavolo di lavoro del focus group sulla progettazione ha prodotto idee strutturate in pochissimo tempo, partendo dalle risorse a disposizione e da quelle che mancherebbero per la realizzazione del progetto. Al momento dei saluti, i partecipanti, provenienti anche da altre regioni d’Italia, possono dire di aver portato a termine una intensa, serena e produttiva giornata di formazione.

 

Evento realizzato con il contributo della Fondazione Haiku Lugano